Weekend sotto il segno dei fratelli Coen: “A prova di spia” (Burn After Reading), il film presentato fuori concorso e che ha aperto la 65ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, spopola nei cinema italiani e con quasi 2 milioni di euro (1.951.041) segna il miglior esordio di sempre di un film dei Coen nel primo weekend di programmazione.
Continua inarrestabile anche l’affermazione del ‘papà di Giovanna‘ di Pupi Avati che con l’ottimo risultato del fine settimana supera i 2 milioni di euro. Un successo ‘in progress’…
E che dire dei fratelli Coen? Se non ci fossero, qualcuno dovrebbe inventarli. Magari il buon vecchio Sam Elliott, mentre al bancone di un bar sperduto da qualche parte in America, racconta le straordinarie storie di drughi, droghe non proprio leggere e palle da bowling pronte a trascinare via birilli e vite. Come niente fosse.
Ed è come niente fosse che questi due geniali fratelli del Minnesota, cresciuti a pane e (buon) cinema si sono trasformati negli anni in straordinari e impagabili affabulatori, narratori di un’America in bilico fra centro e provincia, sangue e neve, conoscenza e profonda stupidità.
Il nostro incipit, strappato dalle pieghe deliranti de “Il grande Lebowski“, è soltanto un modo per sottolineare ancora una volta che quello dei Coen non è mai esercizio di stile punto e basta, ma osservatorio illuminante e al tempo stesso racconto che trae la sua ragione d’essere dalla condivisione.
Inutile cantare le meravigliose e terribili contraddizioni dell’America profonda senza guardare dritto agli occhi lo spettatore. Impossibile rispolverare la commedia sofisticata (“Prima ti sposo, poi ti rovino“, “Mister Hula Hoop“), senza raccontare fra le righe qualcosa di noi, qualcosa dell’oggi.
Provocatori, acidi, sarcastici, ma al tempo stesso profondamente umanistici. I Coen raccontano l’uomo. Quello incurvato dal tempo e dalla sabbia del deserto (il magnifico Lee Jones del finale di “Non è un paese per vecchi“), quello incastrato in storie (e vite) più grandi di lui.
E’ per questo che se il loro penultimo capolavoro (“Non è un paese per vecchi“) era un agghiacciante pamphlet sulla cupidigia e sulla banalità sconcertante del Male, quest’ultimo formidabile “A prova di spia” è un dolce, stralunato e cattivissimo requiem. Le spoglie del caro estinto (l’immaginario americano) però stavolta non sono in bella mostra. Danzano inquiete fra una corsa e l’altra, fanno del tutto per (di)mostrare ancora una volta vita, anche quando il fetore della decomposizione è inarrestabile.
“A prova di spia” è uno straordinario karakiri registico con cui i Coen (giunti forse al massimo grado ‘possibile’ di brillantezza registica) riepilogano, strizzano e superano in corsa tutto il loro cinema.
Come dire: i tempi della novella ad orologeria (“Fargo“) sono scaduti, così come quelli della riflessione sui massimi sistemi del cinema e della vita (“L’uomo che non c’era“). L’unica cosa rimasta da fare è celebrare il funerale di un paese (“Non è un paese per vecchi”). E rimanere a vedere cosa resta (“A prova di spia“).
E’ per questo che quest’ultimo loro strabiliante film profuma lontano un miglio di celebrazione (quello dello spy-movie classico) e al tempo stesso di sfrenato e leggerissimo divertssment in cui chi corre, chi truffa e chi muore lo fa soltanto per il gusto di farlo. Come chi non ha più niente da perdere. Come un cinema che invece di calcare la terra, privilegiasse una volta per tutte l’aria.
In totale ed euforica assenza di gravità.
Cast da capogiro, ancor più delle altre volte: basterebbero due splendidi Clooney e Pitt. Ma non dimentichiamo John Malkovich, Frances McDormand, Tilda Swinton e un grandioso Richard Jenkins.
“A prova di spia” (Burn After Reading) vi aspetta in sala.
Fonte: Medusa