Pasquale Falcone è un finissimo umorista. Lo aveva già dimostrato nel suo precedente “Lista di provocazione, San Gennaro aiutaci tu“, così come in “Tutti gli uomini del deficiente“. Il punto però non è questo.
Falcone è prima di tutto un uomo di cinema con gli occhi aperti e la voglia di restare sintonizzato sulle frequenze dei giovani d’oggi.
L’umorismo non c’entra più di tanto, parliamo più che altro della voglia di catturare lo sfuggente, l’incasellabile, quel senso di precarietà cucito addosso agli adolescenti che si affacciano alla vita.
“Io non ci casco“, prima d’essere un modello di leggerezza e soavità, è una meravigliosa storia di vita.
In primis quella che ha scandito il periodo, piuttosto lungo, passato prima delle riprese. Falcone ce lo aveva già in testa il film, ma non gli bastava. Perché voleva che quella sua idea di gioventù, di zone d’ombra e di vita venisse passata al vaglio dai diretti interessati. Voleva che il suo film diventasse il film dei giovani. Non solo protagonisti, non solo comparse, ma spiriti guida dell’opera, sceneggiatori invisibili, uomini e donne con la macchina da presa in braccio e tanta voglia di raccontare qualche brandello della loro quotidianità.
Il film sarebbe dovuto essere un elettrizzante work in progress abitato dalla disarmante sincerità di chi vuole raccontarsi senza filtro.
E’ per questo che, dopo aver scelto con attenzione i giovani protagonisti, la scelta del set è venuta subito automatica. Cava De’ Tirreni (provincia di Salerno), tanto per non allontanarsi dal luogo in cui abitano i giovani scelti per il film.
Girare a Roma, a Torino o a Milano sarebbe stato un piccolo tradimento.
“Io non ci casco” sarebbe dovuto lievitare dai vicoli che hanno visto crescere quei ragazzi, dalle case che hanno assistito alle loro passeggiate, dai bar che li hanno ospitati nelle sere fredde d’inverno e in quelle bollenti d’agosto.
Il film è diventato così, prima di tutto, una preziosa e vibrante testimonianza.
Quella che racconta di un sud che ha avuto il coraggio di strapparsi di dosso le etichette, raccontando della sua bella gente, di decine e decine di giovani che sanno guardare la vita dritta negli occhi, sfidandola e amandola con il corpo e con gli occhi del desiderio rivolti al domani.
E’ anche per questo motivo che il tema centrale (il coma del protagonista in seguito ad un incidente col motorino e l’andirivieni dei suoi amici che vanno a trovarlo) sa farsi memorabile spaccato di vita colta in medias res, raccontata e filmata con un’immediatezza e una semplicità straordinarie.
Tutte cose queste che fanno del filmi un promemoria quasi truffautiano sugli anni in tasca di una straordinaria gioventù.
Un film importante dunque, condotto in porto grazie all’intervento di una produttrice speciale (Maria Grazia Cucinotta) che ha creduto al progetto con tutto se stessa. Non resta che precipitarsi in sala.
Distribuisce Medusa.