Si è appena conclusa la 64esima edizione del Festival di Berlino e tra polemiche e curiosità noi partiamo subito con i riconoscimenti: l’Orso d’oro è andato a “Black Coal, Thin Ice” di Yinan Diao, un noir del regista cinese che racconta di un Paese senza più valori né regole, attraverso l’incontro di un ex poliziotto e una femme fatale.
Premio come miglior attore a Liao Fan, il protagonista del suddetto film vincitore del massimo riconoscimento berlinese. Ancora Cina per il premio alla miglior fotografia per il film “Blind message”. Va al Giappone invece, il premio come miglior attrice, a vincerlo è Haru Kuroki, la protagonista del film “The little house”.
L’Orso d’argento Gran Premio della giuria ci riporta in Occidente con Wes Anderson e il suo “Grand Budapest Hotel”, toccante omaggio al cinema degli anni ’30, atteso in Italia per il 10 aprile. Wes Anderson, assente alla premiazione, ha lasciato un messaggio sarcastico in cui ricorda il “leoncino” vinto a Venezia e “la palma di cioccolato” vinta a Cannes, ed ora finalmente un premio “in scala normale e di metallo”.
Premio alla regia per l’altro americano, Richard Linklater, che a Berlino ha presentato “Boyhood”, un film che è praticamente un esperimento cinematografico per il quale, ogni anno per alcune settimane, Linklater ha radunato la stessa troupe per proseguire la lavorazione di un lungometraggio dove la crescita dei personaggi va di pari passo con quella degli attori. Decisamente una delle pellicole più amate del concorso, e che forse avrebbe meritato di più.
Alla Nazione ospitante va solo il premio alla sceneggiatura per “Stations of the Cross”, scritto dai fratelli Dietrich e Anna Bruggerman, sul martirio di un’adolescente plagiata da una famiglia di fondamentalisti cattolici. L’Alfred Bauer è andato al maestro Alain Resnais per il suo film controcorrente “Life of Riley”.
Insomma questa 64esima edizione della Berlinale non pare aver brillato a causa della scarsa presenza di opere di qualità in concorso. Anche il verdetto ha fatto storcere un po’ il naso, per il mancato Orso d’oro al film di Linklater, per l’esclusione del film che era piaciuto a tutti, “’71” di Yann Demange, e che invece è rimasto a mani vuote, per la sensazione che il sistema di oggi guardi più ai capitali asiatici che all’arte. Il red carpet però ha regalato momenti più vivaci (per la gioia dei fotografi), leggasi trenino dei “Monuments men” di George Clooney e t-shirt provocatoria anti-Cannes di Lars Von Trier.