Anche se girato nel 2007 e presentato a molti festival internazionali nello scorso anno, solo adesso Katyn arriva nelle sale cinematografiche. Una sorta di passaggio obbligato tra le trame della burocrazia o volontà di farlo cadere nel dimenticatoio, questo film racconta la ricerca di verità a costo della propria libertà o peggio della vita.
Il 17 settembre 1939 la Polonia viene invasa. Da ovest dalle truppe di Hitler e da est dall’Armata Rossa. 18.000 ufficiali dell’esercito, 230.000 soldati e 12.000 ufficiali di polizia vengono arrestati dai russi. Tutti i graduati vengono portati in campi di concentramento e nella primavera del 1940, su espresso ordine di Stalin, 15.000 di loro vengono uccisi con un colpo alla nuca e seppelliti in fosse comuni nella foresta vicino a Katyn. I tedeschi scopriranno le fosse nell’aprile del 1943 ma i russi scaricheranno su di loro la colpa del massacro. Solo nel 1990 per la prima volta ammetteranno la responsabilità.
Wajda, che a Katyn perse il padre, racconta la vicenda attraverso la storia di Anna, la moglie di un capitano di Cavalleria che, pur non volendo accettarle, si troverà di fronte alle prove dell’esecuzione del marito così come accadrà ad altre donne. Al termine del conflitto, con la Polonia sotto l’influenza sovietica, una cortina di silenzio verrà fatta calare sull’accaduto e chi cercherà di sollevarla rischierà il carcere. Come in una sorta di riappacificazione con il passato ha deciso di raccontare questa storia a nome di tutti quelli che hanno cercato sempre di smascherare le nefandezze della guerra, da qualsiasi parte esse provengano.
Film presentato al Torino Film Festival ha ottenuto una candidatura agli Oscar 2008 come miglior film straniero e poi presentato alla 58esima edizione del Festival di Berlino.