Il nuovo film di Gavin Hood : Wolverine avrà come protagonista Hugh Jackman

Per il pubblico appassionato di gesta supereroistiche il film: Wolverine è in arrivo nella primavera 2009 nei nostri cinema.
Wolverine, compare per la prima volta in un fumetto dell’ incredibile Hulk, ma a quei tempi non si conosceva ancora il suo destino.Non si sapeva se era un destino da buono o da cattivo.
Nel film, Hugh Jackman è Logan, un soldato che morì mutante e rinacque macchina da guerra. E’ armato di artigli e in essi, sia reali che immaginari ognuno di noi riconosce le proprie paure e le proprie debolezze. Appare disperatamente solo ed è paragonato alla figura di un lupo solitario, forse anche per un richiamo estetico dato dalle basette molto folte.
È considerato da tutti come un eroe maledetto ed attira le fan con un’ area da macho ferito che tra una battaglia mortale e l’ altra cerca comprensione, nulla di più.
L’ interpretazione di Hugh Jackman garantisce con certezza un cupo e tragico lato psicologico: appare più triste e violento nonostante sia concentrato in una serie di continue azioni.
Il regista Gavin Hood, imprime così emotività alla storia che appare divertente anche se il personaggio è oscuro e sono presenti elementi di dolore.
Non ci rimane che attendere e al primo colpo d’ artiglio staremo a vedere !

TRAMA DEL FILM : WOLVERINE

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Io non ci casco: una meravigliosa storia di vita

Pasquale Falcone è un finissimo umorista. Lo aveva già dimostrato nel suo precedente “Lista di provocazione, San Gennaro aiutaci tu“, così come in “Tutti gli uomini del deficiente“. Il punto però non è questo.
Falcone è prima di tutto un uomo di cinema con gli occhi aperti e la voglia di restare sintonizzato sulle frequenze dei giovani d’oggi.

L’umorismo non c’entra più di tanto, parliamo più che altro della voglia di catturare lo sfuggente, l’incasellabile, quel senso di precarietà cucito addosso agli adolescenti che si affacciano alla vita.

Io non ci casco“, prima d’essere un modello di leggerezza e soavità, è una meravigliosa storia di vita.
In primis quella che ha scandito il periodo, piuttosto lungo, passato prima delle riprese. Falcone ce lo aveva già in testa il film, ma non gli bastava. Perché voleva che quella sua idea di gioventù, di zone d’ombra e di vita venisse passata al vaglio dai diretti interessati. Voleva che il suo film diventasse il film dei giovani. Non solo protagonisti, non solo comparse, ma spiriti guida dell’opera, sceneggiatori invisibili, uomini e donne con la macchina da presa in braccio e tanta voglia di raccontare qualche brandello della loro quotidianità.
Il film sarebbe dovuto essere un elettrizzante work in progress abitato dalla disarmante sincerità di chi vuole raccontarsi senza filtro.

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Never Back Down: impossibile non andare a vederlo!

Il cinema americano rimette le lancette dell’orologio indietro.
Non è questione di ore solari, ma voglia di ributtarsi a corpo morto sul ‘full contact’. Cinema senza esclusione di colpi, di quelli che mandavano in solluchero le platee degli anni Ottanta, sferrando colpi proibiti a cui era impossibile resistere.

L’epoca di Van Damme e dei suoi epigoni è definitivamente chiusa? Non fa niente. Jeff Wadlow (lo avevamo già apprezzato nel suo precedente “Nickname: Enigmista“) aggiorna quella straordinaria formula ludica al cinema di oggi. E non racconta di supereroi nerboruti pronti a tutto pur di avere la meglio sull’avversario, ma taglia trasversalmente il mondo giovanile.

Never Back Down” (letteralmente ‘mai cedere, mai tirarsi indietro’) non è semplicemente un affresco di corpi in lotta, punta più in alto. E in primis racconta i giovani d’oggi, regalandoci uno spaccato muscolare e avvincente di un universo abitato da ragazzi che si affacciano alla vita e di desideri pronti ad esplodere con tutta la forza.
Non basta. Perché il film di Wadlow passerà alla storia del cinema di genere come la prima opera ad aver messo al centro del racconto le cosiddette ‘Mixed Martial Arts’, vale a dire le arti marziali miste.

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Mary Poppy, dispenser di felicità

Un ottimo rimedio contro la tristezza e la noia quotidiana? Il nuovo film di Mike Leigh, dal titolo La felicità porta fortuna in programmazione nelle sale da ieri 5 dicembre con l’anteprima nazionale al cinema Anteo di Milano.
Una ragazza, Poppy, vive allegramente la sua vita da single insieme alle amiche e alla sorella minore, convinta di poter essere capace di dispensare felicità alla gente con un sorriso e una parola dolce. Incontrerà sulla sua strada, istruttori di guida scorbutici, violenti e razzisti, alunni della sua scuola bulli malgrado loro, per problemi familiari, parenti insicuri e disillusi, che ne criticano le scelte personali, colleghe amareggiate dalla vita. Ma ogni volta confida nella capacità di tutti di poter trovare qualcosa di buono nella loro esistenza e lei sente di doverli aiutare in questo. Ma alle arriva in un incontro fortuito quello che potrebbe essere l’amore e in un momento di smarrimento le da la conferma di essere nel giusto.

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La fidanzata di papà: numero uno in classifica e nel divertimento!

Ottimo esordio in sala per “La fidanzata di papà“: al suo primo weekend infatti la nuova divertentissima commedia di Massimo Boldi ha incassato più di 2 milioni e mezzo di euro (2.559.088), ottenendo il primo posto in classifica e battendo l’agguerrita concorrenza del bel James Bond di “Quantum of Solace“.

Con una altissima media per copia, “La fidanzata di papà” segna così il miglior esordio in sala di un film italiano da diversi mesi a questa parte.
Una bella conferma della qualità del film, destinato a salire sempre più in alto in classifica anche grazie allo straordinario ‘all cast star’ della comicità tricolore.
La fidanzata di papà non è il solito cinepanettone invernale. E non lo è per almeno due buoni motivi.

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Le feste di Natale? Al cinema, con tanti grandi film!

Si avvicinano le feste natalizie e come lo scorso anno Massimo Boldi anticipa tutti con l’uscita, il 14 novembre, della sua commedia-panettone. Firmato da Enrico Oldoini, La fidanzata di papà (Medusa) è l’esordio di Simona Ventura sul grande schermo, che ha al suo fianco nel cast, oltre a Boldi, Nino Frassica, Enzo Salvi e Biagio Izzo. L’altro italiano in arrivo, direttamente dal Festival di Roma, è Amore che vieni amore che vai di Daniele Costantini (Istituto Luce), pellicola in bilico tra giallo e commedia ispirata al romanzo “Un destino ridicolo“, scritto nel 1993 dal Fabrizio De Andrè con lo psicanalista Alessandro Gennari. Ambientato a Genova nel 1963, il film è interpretato da Filippo Nigro, Claudia Zanella, Fausto Paravidino e Donatella Finocchiaro. Da Cannes arriva invece Changeling (Universal), ultima fatica di Clint Eastwood tratta dalla storia vera del rapimento, nell’America del 1928, del figlio piccolo di una centralinista, interpretata da una Angelina Jolie talmente convincente da poter aspirare alla statuetta dell’ Academy.

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The Burning Plan: un dolce girotondo di frammenti di vita

Guillermo Arriaga: un genio che la critica ha definito uno dei più grandi narratori contemporanei. Uno capace di incidere sul suo tempo, di lasciare un segno che resta. Un artista in grado di ‘testimoniare’. Prima nero su bianco, nei suoi straordinari romanzi. Poi al cinema, questa volta con The Burning Plan – Il confine della solitudine.
La vita di Guillermo Arriaga (classe 1958) sembra strappata dalle viscere di uno dei suoi indimenticabili personaggi. Nasce a Città del Messico, cresce fra privazioni e botte in un quartiere dimenticato da Dio e dagli uomini. Ne prende talmente tante da perdere l’olfatto. Ma il profumo amaro della strada non lo scorderà mai. L’unico modo per continuare a (r)esistere è immaginare che il mondo non finisca lì.
Immaginare che da qualche altra parte del mondo le cose vadano diversamente.
I suoi primi testi Arriaga se li scrive con la penna della fantasia nel grande libro del cuore. E capisce subito una cosa. Riportare su carta la vita è impossibile. Troppo complessa, troppo sfaccettata, troppo multiforme. E allora scatta la domanda da un milione di dollari: come prenderla questa maledetta e meravigliosa esistenza? Da che parte afferrarla? La risposta è chiara e semplice: abbracciandola in toto. E rinunciando subito ad ogni tipo di linearità.
E’così che il suo stile (venuto prepotentemente fuori già dai primi testi) muta in un gran bel groviglio di scivoli temporali, puzzle spaziali e sguardi bruciati dall’assoluto.

Guillermo parte dalla terra e punta verso il cielo.
E Inarritu (uno dei registi contemporanei più necessari), innamorandosi del suo sguardo sul mondo e sulle cose, gli affida gli script di “Amores perros“, “21 grammi” e “Babel” (col quale Arriaga vince il premio Oscar).
Intanto lo scrittore messicano medita sul suo futuro e fa un pensierino: passare dietro la macchina da presa. Ma prima butta giù lo scipt de “Le tre sepolture“, magnifico esordio alla regia di Tommy Lee Jones e capisce che in fondo si tratta di un passaggio automatico, spontaneo, naturale. Ottima idea.
Eccoci allora a “The Burning Plain“, presentato con straordinario successo di pubblico e critica allo scorso Festival di Venezia.

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