“Trainspotting” si apriva su una fuga. Disperata, travolgente, vitale. Come il suo protagonista, Ewan McGregor. E mentre correva in mezzo al traffico, la voce fuori campo ci svelava il perché. “Scegli il lavoro, la vita, la famiglia, il maxi televisore del ca**o,…” Ecco, il protagonista non aveva scelto né famiglia, né vita, né televisore. In quello che è stato un indiscutibile manifesto ‘horror’ della generazione X degli anni Novanta, si compieva una scelta a parte. E si restava ai margini.
Il protagonista di “Ce n’è per tutti” non corre in mezzo al traffico di Glasgow. E non si fa. Ma ha scelto anche lui. Di isolarsi, di staccare la spina, di resettarsi in tutta calma. Il suo ‘buen retiro’? No, nessun isola. Ma il Colosseo. In cima al monumento più antico e più famoso di Roma. Una nicchia extra lusso ricavata fra traffico, isterie metropolitane e nevrosi familiari. Manco fosse lo stilita del bunueliano “Simon del deserto”.
Luciano Melchionna, dopo l’esito spiazzante e implacabile del suo durissimo “Gas”, riparte dal film Ce n’è per tutti. Dai margini, per l’appunto. E da un apocalittico non integrato. Uno che se ne frega dell’orologio, dell’agenda e della puntualità. Uno che vuole mancare a se stesso. E agli altri.